Proteste in Iran: il governo blocca Internet
Continuano le proteste in Iran dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, arrestata e picchiata per sei ore dalla polizia perché non indossava il velo in modo corretto – è deceduta dopo tre giorni di coma.
Le proteste si sono estese in 22 città iraniane tra uomini e donne che hanno bloccato le strade, incendiato i veicoli della polizia, lanciando anche pietre e slogan contro la politica; molte donne – arrestate – non hanno indossato il velo durante le manifestazioni, anzi molte donne hanno bruciato l’hijab per confermare il loro dissenso contro la legge che obbliga l’uso del velo; c’è chi ha tagliato anche i capelli per sottolineare il dissenso per un Paese che continua a negare loro dei diritti fondamentali, pagandone conseguenze drammatiche per politiche fatali.
La rabbia per la morte di Mahsa si è estesa nel Paese, soprattutto nelle città di Teheran, nel Kurdistan e a Saqez – città natale della ragazza. E a causa delle continue proteste sono stati bloccati gli accessi a Instagram e a WhatsApp, oltre ad altri servizi internet.
Se restassimo solo un giorno senza internet, la sensazione che si ha sarebbe come isolarsi per un periodo apparentemente lungo. Non esiste più quella iper connessione che ci rende meccanicamente più attivi, più informati, più coinvolti. Immaginate per una settimana quanto di quello che si vuole veicolare al di fuori del proprio territorio viene circoscritto per non far passare le notizie, perché si sa che l’uso delle immagini, specialmente se di dissenso politico, hanno subito delle ripercussioni a livello mondiale. L’interruzione delle principali piattaforme social da parte del governo iraniano è iniziata ieri, 21 settembre, per continuare con qualsiasi rete mobile su scala nazionale. È quanto ha confermato NetBlocks su Twitter che controlla la sicurezza informatica:
“Confirmed: Access to Instagram, one of the last available social media platforms in #Iran, has been restricted amid protests over the death of #MahsaAmini; live metrics show frontends and CDNs now disrupted on multiple internet providers”.
La reazione del governo non sorprende, considerando che già da tempo ha bloccato in alcune parti del Paese l’uso di piattaforme come Tik Tok, Youtube, Twitter, Facebook e Telegram, per la sua politica di controllo informatico e della libertà di espressione.
Attualmente, per quanto riguarda l’andamento delle proteste, stando ai dati dell’associazione per i diritti umani, Hengaw Organization for Human Rights, sono state arrestate oltre 500 persone; e secondo la tv di Stato del Paese sono state uccise fino ad oggi 17 manifestanti, tra cui poliziotti e bambini. Dai filmati in rete si vedono le forze dell’ordine sparate contro i manifestanti, tra i quali un 16enne ucciso dagli spari.