Gianluca Jodice, regista de Le déluge. Un italiano alla conquista della Francia?
In Italia abbiamo un piccolo Stanley Kubrick e si chiama Gianluca Jodice, regista del pregevole ed originalissimo film in costume Le déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta, si spera che, dopo l’uscita in terra di Francia, abbia la distribuzione e il riscontro che si merita anche in patria.
Di Anna Lina Grasso
Un omaggio ai grandi film storici
Le déluge, secondo lungometraggio di Gianluca Jodice, ricostruisce i momenti cruciali della Rivoluzione Francese che tutti pensano di conoscere, destreggiandosi abilmente tra thriller, horror, commedia e dramma, nel segno dei grandi film storici del passato, primo fra tutti Kubrick con Barry Lyndon.
Jodice si concentra sul come accadono le cose, ispirandosi ai quaderni raccolti in Il prigioniero del Tempio di Jean-Baptiste Hanet, la sola persona autorizzata dalla Convenzione a risiedere alla Tour du Temple durante la prigionia della famiglia reale e rimasto accanto a Luigi XVI fino al giorno della decapitazione.
Il film incastona i protagonisti in un affascinante quadro romantico dove vengono messe in evidenza alcune conseguenze pratiche delle (astratte e pericolose) teorie illuministe che fungono da premonizione al periodo post-Terrore, culminando nel 18 brumaio di Napoleone Bonaparte.
Domande e risposte con il regista
1. La pellicola Gli ultimi giorni di Maria Antonietta è stata selezionata per l’apertura del festival di Locarno, ma non a Cannes né a Venezia, come se lo spiega?
Beh, il perché dell’esclusione dovrebbe essere chiesto ai festival citati, non a me. Diciamo che, per quanto riguarda Cannes, sapevamo che andavamo incontro a qualche difficoltà. Un italiano che tratta quei temi, quei personaggi di storia patria, in un modo poi così problematico e scomodo… Sicuramente ci siamo andati a fare male da soli. In quanto a Venezia, non ne ho idea. Semplicemente il film non sarà piaciuto o sarà piaciuto meno di altri.
2. Come pensa il pubblico francese accoglierà il suo film?
Finora, dalle poche proiezioni e anteprime che ho accompagnato, è andata molto bene. Abbiamo avuto incontri e fatto dibattiti con il pubblico e ci è sembrato che il film venisse capito in profondità. Intendo dire che, come il film non si appoggia automaticamente e semplicisticamente su schemi digeriti abbondantemente, ecco, il pubblico sembrava apprezzarlo. Sembrava soddisfatto di questa complessità, di questo equilibrio delicato che il film costruisce su temi importanti come potere, popolo, rivoluzione, storia, Dio.
3. Come è nata l’idea di girare un film in costume su Maria Antonietta e consorte?
Non si pensa a fare un film in costume. Ci sono temi, idee, ossessioni e immagini che a un certo punto si coagulano e trovano la propria strada per poter essere esplorate al meglio.
4. Su quale aspetto del film è stato più difficile lavorare?
Su quelli sottotraccia, in sceneggiatura. La vocazione metafisica, non solo storica, del film. Il livello edipico che ogni grande rivoluzione porta con sé. La critica alla Ragione, così come dall’Illuminismo è arrivata fino a noi: nuovo dio che spesso prende forme intollerabili e violente. L’ironia beffarda che trapela nell’ultima scena, nel salotto dei rivoluzionari: pensare che tutti i presenti in quella stanza, da lì a pochi mesi, si ghigliottineranno a vicenda in nome di ideali sempre più puri e radicali, è interessante.
5. Anche in Il cattivo poeta raccontava degli ultimi anni di vita di D’Annunzio. Cosa la affascina di più del crepuscolo dell’essere umano, soprattutto di chi è stato potente e celebre?
Nel corridoio finale della vita, di solito vengono fuori con potenza verità, parole, gesti che nel corso della vita, per pudore, convenienza, ragioni di carriera o altro, vengono taciuti, tenuti a bada, repressi. E questo genera drammi, traumi, cambiamenti epocali.