Napoli, ucciso e sciolto nell’acido 10 anni fa perché amante della moglie del boss: tre arresti
A decidere la morte di Salvatore Totoriello, del clan Licciardi, furono tre uomini al vertice del suo stesso gruppo camorristico
Svolta nelle indagini sulla morte di Salvatore Totoriello, soprannominato “Totoriello”. Totoriello fu ucciso e sciolto nell’acido nel settembre 2013 perché aveva una relazione sentimentale con la moglie di un affiliato detenuto: questo, secondo gli investigatori, sarebbe il movente dell’omicidio.
Dell’uomo si perse traccia il 27 settembre 2013, e il suo corpo non venne mai ritrovato. Ma alla luce di nuovi elementi emersi durante le indagini, il cold case sarebbe stato risolto dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Napoli. La morte di Totoriello, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, sarebbe stata decisa dal clan Licciardi, a cui Totoriello stesso apparteneva, e in particolare da tre persone ritenute ai vertice del clan camorristico.
Al clan, gli inquirenti contestano i reati di associazione mafiosa, estorsione, omicidio, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, aggravati in quanto commessi per agevolare il clan Licciardi e l’Alleanza di Secondigliano. Secondo quanto ricostruito dai Carabinieri, Totoriello fu vittima di una “punizione d’onore”.
L’uomo, venne attirato con l’inganno in una zona boschiva nel quartiere Chiaiano di Napoli, dove sono presenti cave di tufo abbandonate. Secondo gli investigatori è proprio in quella zona che l’uomo venne ucciso prima a colpi di arma da fuoco.
La dissoluzione del cadavere
E il suo cadavere venne sciolto nell’acido, utilizzando tecniche di “lupara bianca” simili a quelle apprese dalla mafia palermitana, da alcuni uomini affiliati al clan Polverino-Simioli, legato al clan Nuvoletta. Si tratta infatti delle stesse pratiche di occultamento di cadavere che Cosa nostra usò nel 1984 per far sparire i cadaveri di Vittorio e Luigi Vastarella, Gennaro Salvi, Gaetano Di Costanzo e Antonio Mauriello su ordine del boss Lorenzo Nuvoletta. Per quei cinque omicidi, avvenuti a Marano di Napoli nella faida tra clan Gionta-Nuvoletta e Alfieri-Bardellino, è stato condannato in via definitiva come mandante Salvatore Riina.