L’Italia perderà 1,4 milioni di giovani tra i 3 e i 18 anni. E 500 miliardi di Pil
La crisi demografica bussa alle porte della scuola pubblica. Nei prossimi dieci anni, entro il 2034, ci saranno 1,4 milioni circa di bambini e ragazzi tra i tre e i diciotto anni in meno. Un calo di oltre 100 mila alunni l’anno.
Così il governo ha avviato una razionalizzazione della rete scolastica. Ad essere cancellati saranno circa 600 istituti, mentre il numero degli attuali dirigenti scolastici sarà praticamente dimezzato nei prossimi otto anni.
II dato emerge dalla legge di Bilancio appena trasmessa in Parlamento, che registra nei conti dello Stato il taglio di spesa legato alla riduzione dei presidi nei prossimi dieci anni.
In realtà è stato già il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, a prevedere entro la fine di quest’anno, l’avvio della riorganizzazione del sistema scolastico per tenere conto degli effetti della denatalità.
Lo documenta il quotidiano Il Messaggero.
Effetti pesantissimi, come dimostra una tabella allegata dal governo all’interno della Relazione tecnica che accompagna la manovra.
Il prossimo anno in Italia, ci saranno 8,1 milioni di bambini e ragazzi tra tre e diciotto anni. Nel 2034 questa “popolazione” sarà di soli 6,7 milioni.
Nel Lazio, per esempio, si scenderà da 808 mila a 659 mila persone in questa fascia di età, mentre in Lombardia da 1,4 a 1,2 milioni.
Al calo demografico non sfugge nessuna Regione.
In Campania si passerà da 875 mila a 721 mila bambini tra i tre e i diciotto anni in un decennio, in Veneto nello stesso periodo questa popolazione scenderà da 683 a 575 mila persone.
Al crollo degli studenti seguirà anche una riduzione del personale scolastico.
Le relazioni che accompagnano il Pnrr hanno quantificato in «almeno 60 mila unità», il calo del personale scolastico.
“Adesso con la manovra, arriva una prima quantificazione dei dirigenti scolastici di cui il sistema scuola potrà fare a meno nei prossimi dieci anni” documenta ancora il Messaggero.
I presidi saranno in pratica dimezzati. Si passerà dai 6.490 del 2024-2025 (primo anno in cui entreranno in vigore le norme della Manovra), fino ai 3.144 del 2031-2032. Si tratta di 3.346 dirigenti scolastici in meno.
Secondo la relazione tecnica che accompagna la legge di Bilancio, in questo modo sarà possibile risparmiare nei prossimi dieci anni oltre 470 milioni di euro.
La Manovra prevede anche un nuovo coefficiente per la formazione delle sedi scolastiche autonome.
Oggi è attribuito un dirigente scolastico e un direttore dei servizi generali ed amministrativi titolari, solo alle istituzioni scolastiche con almeno 600 alunni (400 nei comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche).
Questi parametri saranno superati.
Il numero di alunni che dà diritto alla scuola ad avere un preside, sarà calcolato attraverso in algoritmo che terrà conto di alcuni parametri, come gli alunni iscritti alle istituzioni scolastiche statali, l’organico di diritto nell’anno di riferimento, un coefficiente compreso tra 900 e 1.000 e una correzione in base alla densità di popolazione per chilometro quadrato.
Sarà un decreto del ministro dell’Istruzione e del merito, di concerto con quello dell’Economia, dopo aver fatto “girare” l’algoritmo, a indicare il contingente dei dirigenti scolastici da assegnare ad ogni Regione.
Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat nonché professore ordinario di Demografia, i numeri della popolazione scolastica che si restringe sono ben noti.
“E’ una tendenza molto grave ma attesa, che ora si sta concretizzando sempre di più. Dal 2008 la dinamica della natalità è in calo anno dopo anno: nel 2021 siamo scesi sotto quota 400 mila nascite e quest’anno ci sarà un’ulteriore riduzione. Quindi, nonostante un certo contributo dell’immigrazione, anche il numero degli studenti non può che diminuire”.
“La scuola è per così dire il primo fronte sul quale si notano gli effetti della mancata natalità: bastano pochi anni, mentre per l’impatto sul mondo del lavoro ne servono più o meno venti, perché i bambini devono crescere e arrivare all’età lavorativa. E ancora dopo – ma comunque abbastanza rapidamente – si vedono le conseguenze sul welfare, sulla sostenibilità di sanità e pensioni”.
“Se la decrescita è di queste dimensioni decresce anche l’economia. Da qui al 2070 stimiamo una perdita di Pil di circa 500 miliardi. Ancora prima, nell’arco di vent’anni, ci sarà una riduzione delle unità di consumo, calcolate in base alle famiglie, del 2,5 per cento. In alcune Regioni anche del 10. Senza contare che l’Italia vedrà diminuire il suo peso internazionale”.
“Le chiusure? Vale per le scuole ma anche per gli ospedali. Non si può pretendere di averli sotto casa, però l’assistenza sanitaria serve. C’è bisogno di grande oculatezza nel fare le scelte”.
“Se si decide di chiudere una scuola primaria poi bisogna mettere in condizione i bambini di frequentarne un’altra, senza troppi disagi per loro e per le loro famiglie. L’istruzione almeno dell’obbligo è un servizio essenziale. Stiamo parlando di diritti non negoziabili”.
Ma si può sperare di invertire la tendenza e tornare a popolare quelle classi con più bambini, tra qualche anno?
“Dobbiamo provarci. Altri Paesi, come la Germania, sono riusciti in parte a cambiare strada. Ma è bene sapere che è una strada in salita, perché anche incrementando la fecondità la base delle potenziali mamme si restringe, per effetto delle mancate nascite del passato”.
L’immigrazione può dare un contributo?
“Certamente. Però ricordiamo che le nostre proiezioni sulla popolazione, quelle da cui nascono le stime sul numero degli studenti, incorporano giù un flusso netto di 130 mila persone l’anno. Quindi il contributo è importante, ma in parte è già in atto. Inoltre è noto che dopo un certo tempo gli immigrati tendono ad adeguarsi ai comportamenti del Paese in cui vivono, anche sulla scelta di quanti figli avere”.
«Voglio essere ottimista. Sta crescendo la consapevolezza, anche politica. Ci sono le premesse perché parta un piano di azioni coordinate. Certamente di aiuti materiali, sia monetari sia in termini di servizi e di conciliazione tra lavoro e famiglia. Poi però serve anche un nuovo clima culturale. I figli sono un problema di tutti, una risorsa anche per chi non li ha».