La guerra e il cambiamento climatico sono tra le cause del boom di disturbi mentali sono tra i fattori determinanti alla base di un’ondata crescente di disordini mentali in Europa. L’Italia è tra i Paesi che reagiscono meglio ai fattori esterni
Il conflitto in Ucraina e l’impatto del cambiamento climatico potrebbero essere tra i fattori determinanti alla base di un’ondata crescente di disordini mentali in Europa. È quanto emerso dall’ultimo rapporto Headway intitolato “A new roadmap in Mental Health”, presentato oggi da The European House – Ambrosetti, Think Tank italiano, e Angelini Pharma, azienda farmaceutica internazionale parte di Angelini Industries.
Si stima che il 22% della popolazione abbia un disturbo mentale in contesti di conflitto – 1/3 dei rifugiati ucraini potrebbe sviluppare depressione, disturbi d’ansia o disturbo post traumatico da stress come conseguenza della fuga dalla guerra o dello sfollamento interno.
Gli effetti diretti e indiretti del cambiamento climatico sulla salute mentale colpiscono maggiormente le persone più vulnerabili e possono includere disagio psicologico, aumento della mortalità e dei tassi di suicidio. L’Italia è tra i Paesi che reagiscono meglio ai fattori esterni.
In Europa, i costi complessivi legati alla salute mentale ammontano a più di 600 miliardi di euro (4% del PIL totale dell’UE). Si prevede che entro il 2030 i disturbi della salute mentale rappresenteranno più della metà dell’onere economico globale dovuto alle malattie non trasmissibili. Il report mette a confronto la situazione che riguarda la salute mentale in 27 Paesi europei e nel Regno Unito, utilizzando 55 indicatori chiave di performance (KPI) che hanno evidenziato grandi differenze sull’organizzazione dei Paesi per affrontare il tema e sostenere i propri cittadini.
Le differenze tra Paesi
Proseguendo una tendenza già evidente nei risultati del report del 2021, i Paesi del Nord Europa si confermano quelli con i punteggi più alti nell’indice delle performance, mentre Romania, Bulgaria e Slovacchia sono tra quelli con i punteggi complessivi più bassi. Per la prima volta da quando l’iniziativa Headway è stata lanciata nel 2017, il rapporto ha esaminato specificatamente i determinanti ambientali che agiscono sulla salute mentale, sottolineando l’impatto disastroso che hanno fattori come il cambiamento climatico, i conflitti e le migrazioni.
I determinanti ambientali sono una categoria recentemente inserita tra i fattori esterni che impattano sulla salute mentale e che considera tutte le condizioni esterne che influenzano la vita, lo sviluppo e la sopravvivenza di una persona. L’analisi di questi fattori ambientali mostra che Finlandia, Danimarca, Svezia, Estonia e Irlanda riescono ad affrontare in modo sostenibile la condizione di salute mentale dei propri cittadini, mentre i Paesi dell’Europa orientale e meridionale, come con Romania, Bulgaria e Grecia, hanno ancora margine di miglioramento per affrontare al meglio questi determinanti della salute.
“Questo rapporto sposta l’attenzione internazionale sull’influenza che i fattori ambientali, come i cambiamenti climatici, la recessione economica o le crisi geopolitiche come la guerra in Ucraina, hanno sulla salute mentale”, ha dichiarato Pierluigi Antonelli, CEO di Angelini Pharma. “I disturbi mentali continuano ad avere un enorme peso sociale ed economico sulle comunità: alcune stime riportate nel nuovo report mostrano che, entro il 2030, essi rappresenteranno più della metà dell’onere economico globale, ed è per questo che dobbiamo agire subito”.
Si muore per disturbi mentali
In Europa, circa il 4% di tutti i decessi sono causati da disturbi mentali e comportamentali. I Paesi con il maggior numero di decessi dovuti a disturbi mentali e comportamentali sono il Regno Unito, Germania, Paesi Bassi. L’Italia occupa il 12 posto, poco meno di metà classifica, subito dopo la Spagna. Tra i decessi causati dai disordini mentali, in Europa, 140.000 morti all’anno sono per suicidio, che risulta la sesta causa di morte nella popolazione di età inferiore ai 70 anni e la quarta causa di morte nella popolazione di età inferiore ai 20 anni. Lituania e Lettonia sono i Paesi europei con il più alto tasso di suicidio per 100.000 abitanti mentre Grecia, Cipro, Malta e Italia quelli con il tasso più basso.
Cosa c’entra il clima
Sebbene sia stato documentato che il cambiamento climatico abbia un impatto simile sulla salute mentale tra le diverse popolazioni, dal report “A new roadmap in Mental Health” emerge, invece, che agisce in modo diverso tra gli individui. I giovani e le popolazioni indigene, così come coloro che vivono con vulnerabilità preesistenti, con disabilità cognitive e motorie o che vivono in condizioni di povertà, sono i più colpiti.
La dimensione dell’impatto è misurabile con un aumento della mortalità, dei comportamenti impulsivi e dei tassi di suicidio. Le notizie di cui si parla poco, come l’aumento di un grado della temperatura media mensile, contribuiscono in realtà ad un aumento dello 0,48% delle visite ai dipartimenti di emergenza per la salute mentale e dello 0,35% dei suicidi. Secondo i dati emersi dal rapporto, le persone esposte a determinati inquinanti atmosferici hanno maggiori probabilità di essere affetti da disordini mentali, in particolare di ansia: in Italia, più del 15% della popolazione è esposta a questi agenti inquinanti.
Esaminando l’impatto dei conflitti e delle migrazioni, il report rivela che circa il 22% delle persone ha un disturbo mentale in contesti di conflitto (13% forme lievi di depressione, ansia e PTSD, Stress Post Traumatico; 4% forme più moderate; 5,1% depressione e ansia gravi, schizofrenia e disturbo bipolare). Dopo un conflitto, circa una persona su cinque continua a essere affetta da depressione, disturbi d’ansia, PTSD, disturbi bipolari e schizofrenia. Il gran numero di persone colpite dai conflitti, 27 in corso in tutto il mondo con 68,6 milioni di sfollati secondo le Nazioni Unite, rende ancora più urgente affrontare i bisogni di salute mentale.
I Paesi più resilienti
Il report ha rilevato anche la capacità dei Paesi a reagire a tali condizioni: il Paese più sostenibile è la Finlandia, l’Italia è tra le nazioni che subisce stabilmente i conflitti, le migrazioni e la recessione economica. Nessuna area europea è caratterizzata da alti tassi di criminalità, tuttavia, c’è grande variabilità tra i Paesi: gli effetti degli atti di violenza, indipendentemente dal fatto che sia vissuta in prima persona o testimoniata, hanno un impatto negativo soprattutto sull’aumento dei casi di depressione. Il Paese con il numero più alto di violenza è il Regno Unito con il 24%, l’Italia registra l’8% e si posiziona a metà della classifica.
Anche le condizioni abitative sfavorevoli hanno un’associazione diretta con la salute mentale: le persone che vivono in contesti sovraffollati hanno maggiori probabilità di avere un disordine mentale, tra cui disagio psicologico e depressione: in Italia, circa il 20% della popolazione vive in soluzioni abitative precarie e il 26% in contesti sovraffollati. L’urbanizzazione, che implica una minore presenza di spazi verdi che aiutano ad alleviare stress ed ansia, è associata a una crescente incidenza di disturbi mentali: il Paese europeo con la percentuale maggiore di spazio verde urbano è la Croazia con il 74%, l’Italia il 34%, al 21 posto su 28.
Il ruolo della pandemia
Ulteriori risultati del rapporto mostrano il perdurare degli effetti della pandemia che ha portato a un peggioramento senza precedenti della salute mentale, con un aumento di oltre il 25% a livello globale di patologie come l’ansia e il disturbo depressivo maggiore. Come descritto nel rapporto, il peggioramento del 19% dei pazienti è dovuto al mancato accesso ai servizi di salute mentale e del 52% ha subìto un peggioramento delle proprie condizioni.
La pandemia ha avuto un impatto importante anche su coloro che lavorano nel settore sanitario: un rischio più elevato di infezioni, orari di lavoro più lunghi e un elevato carico di pazienti hanno contribuito a far sì che gli operatori sanitari sperimentassero livelli di ansia (13% contro 8,5%) e depressione (12,2% contro 9,5%) molto più elevati rispetto a coloro che svolgono altre professioni.